di Filippo Unguendoli

The Holdovers, candidato a cinque Oscar e vincitore di uno (migliore attrice non protagonista per Da’Vine Joy Randolph) è una delle pellicole che più ho apprezzato del periodo di premi appena trascorso. Il tocco di Alexander Payne, regista del film, si sente moltissimo e la trama che ci presenta è, se non già vista, un classico della sua produzione: protagonisti in crisi o più generalmente infelici che vivono un processo di catarsi e miglioramento. L’ambientazione è quella del New England, più precisamente nella Barton Academy, in cui si svolge, se non la totalità del film, tutta la prima metà. Il periodo è quello natalizio, e questo fornirà al regista la possibilità di dar vita alla sua storia tra silenziosi paesaggi innevati e una scuola totalmente deserta. O quasi. Le vicende narrate, infatti, sono quelle dei tre personaggi rimasti lì per le vacanze, ognuno per i propri amari motivi, e costretti a convivere tra di loroin quei lunghi giorni invernali. Angus Tully, ragazzino che frequenta l’istituto, rimane perché sua madre è in luna di miele con il nuovo marito, la cuoca Mary Lamb ha appena perso il figlio in Vietnam, e il professore Paul Hunham (vero protagonista del film), scortese e disprezzato sia dai colleghi che dagli alunni, non ha altri posti dove andare. Payne presenta sullo schermo tre personaggi e tre storie molto diverse ma collegate dal dolore e dalla malinconia e sarà proprio questo punto comune che permetterà loro di aiutarsi a vicenda e superare le difficoltà. La conoscenza dei vari caratteri aumenta di pari passo con il loro sviluppo morale, e con le varie avventure che gli capitano, portandoci a provare un’empatia sempre maggiore e una comprensione più profonda dei loro comportamenti apparentemente scontrosi e cinici.Il tutto, che potrebbe risultare pesante, è però condito dalla sottile ironia e dal sarcasmo tipico di Payne che rende il film non solo un profondo percorso di introspezione, ma anche una commedia divertente e molto apprezzabile. Quest’ultimo prodotto del regista è forse anche il più personale e sceglie come argomento cardine il passato: Mary è bloccata nei ricordi del figlio deceduto, Angus tenta sempre di ricreare un’unità familiare antica che non esiste più e Paul è legato al passato per antonomasia, in quanto professore di lettere classiche. Quando quest’ultimo, infatti, decide di portare Angus fuori per Natale gli fa visitare il museo civico, sottolineando l’importanza della storia per conoscere il presente e il futuro. Non è solo il passato in generale quello su cui il film si focalizza, ma la malinconia del passato, ricordi e memorie a cui si è troppo legati e che allontanano dalla realtà e dal vivere felicemente la propria vita. La pellicola stessa è ambientata nel passato, negli anni ’70, periodo a cui non si adattano solo costumi, acconciature e canzoni, secondo l’attento occhio del regista, ma anche l’intera fotografia: il formato è di 1.66:1, più stretto dell’attuale moderno, i colori sono pastello e l’audio è più sporco in modo da riprodurre la qualità presente all’epoca, e per ultimo le lunghe dissolvenze per i cambi di scene, le inquadrature fisse da treppiede e la zoomata indietro sono la ripresa degli attuali gusti e usi cinematografici. Il risultato complessivo è un’immersione totale nel periodo e un grande sentimento di partecipazione verso i personaggi, il tutto retto da una trama interessante e divertente che rende la pellicola un ottimo film, non solo piacevole ma anche profondo.

In voga